I viaggi di Gulliver – Swift

“Mio piccolo amico Grildrig, mi hai fatto un gran panegirico della tua patria, dimostrandomi che le qualità essenziali per diventare un legislatore sono l’ignoranza, l’ozio e il vizio; che le leggi sono spiegate, interpretate ed applicate in maniera ineccepibile da quanti hanno interesse e abilità nel pervertirle, confonderle ed eluderle. Qualche aspetto delle vostre istituzioni può essere stato almeno tollerabile in origine, ma ormai è cancellato ed il resto si è deteriorato nella corruzione. Da quanto hai detto non sembra affatto che, ad un certo ruolo nella società, debba corrispondere una certa condotta di vita, e tanto meno che i nobili vengano dichiarati tali in nome della loro virtù, che i preti vengano promossi per la pietà e la dottrina, i soldati per il valore, i giudici per l’integrità, i senatori per l’amore del paese, i cancellieri per la saggezza. Certo spero che tu, che hai passato gran parte della vita viaggiando, sia immune dai molti vizi del tuo paese, ma da quello che ho sentito dalle tue relazioni e dalle risposte che ti ho tirato fuori a gran fatica, non posso fare altro che ritenere la maggior parte dei tuoi compatrioti la razza più perniciosa di vermiciattoli detestabili a cui la natura abbia permesso di strisciare sulla faccia della terra.”

Di così poco peso diventano i massimi servigi resi ai principi quando nell’altro piatto della bilancia si mette un rifiuto a soddisfare le loro passioni!

Published in: on 30 ottobre 2012 at 20:08  Lascia un commento  

First song

La prima canzone in assoluto che abbiamo ascoltato insieme in auto.
Al tempo avevo una maglietta strappata dietro la schiena e avevamo qualcosa da comprare di urgente in un centro commerciale per i bambini del campo estivo.
Profumavi di buono, ed eri bellissima…

Published in: on 11 ottobre 2012 at 01:31  Comments (2)  

L’ingenuo – Voltaire

La lettura allarga lo spirito e un amico sincero lo consola.

È così dunque che si trattano gli uomini come fossero scimmie! Prima si picchiano, poi si fanno ballare.

Published in: on 27 giugno 2012 at 22:04  Lascia un commento  

Micromega – Voltaire

Ho viaggiato un poco; ho visto mortali molto inferiori a noi, ne ho visti alcuni che ci sovrastano molto; ma non ne ho visti mai che non abbiano più desideri che veri bisogni, e più bisogni che soddisfazioni. Forse un giorno arriverò nel paese dove non manca nulla; ma fino ad oggi nessuno mi ha dato notizie positive di un tale paese.

Published in: on 26 giugno 2012 at 10:03  Lascia un commento  

Zadig – Voltaire

L’amor proprio è un pallone gonfio di vento, che, bucato, emette tempeste.

L’occasione di far del male si trova cento volte al giorno, quella di far del bene una volta l’anno.

Ogni giorno venivano mosse nuove accuse; la prima è respinta, la seconda sfiora, la terza ferisce, la quarta uccide.

Si dice che si è meno infelici quando si trova qualcuno che lo è altrettanto. Ma non è per malignità, bensì per bisogno. Ci si sente spinti verso uno sfortunato come verso il proprio simile. La gioia di un uomo felice sarebbe un insulto; ma due infelici sono come due fragili arbusti che, appoggiandosi l’uno all’altro, si fanno forza contro la tempesta.

Sono i venti che gonfiano le vele del vascello; qualche volta lo fanno affondare; ma senza di loro non potrebbe navigare. La bile rende collerici e malati; ma senza la bile l’uomo non potrebbe vivere. Tutto è pericoloso in questo mondo, e tutto è altrettanto necessario.

Published in: on 25 giugno 2012 at 21:16  Lascia un commento  

Candido – Voltaire

”Ma con che fine insomma è stato creato il mondo?”

”Per farci disperare.”

Pensate tutti i controsensi e tutte le contraddizioni pensabili, li troverete tutti nel governo, nei tribunali, nelle chiese, negli spettacoli di questa curiosa nazione.

È un uomo di triste vita […] ha in odio chiunque si faccia strada, come gli eunuchi odiano i gaudenti.

Published in: on 11 giugno 2012 at 20:02  Lascia un commento  

COME NACQUERO LE FAVOLE

Molto tempo fa, nella vasta savana dell’Africa, viveva un branco di elefanti. Li guidava un’elefantessa vecchia e saggia di nome Themba, che si prendeva cura di tutto il branco, dalle giovani madri ai cuccioli ancora incerti sulle zampe. Di giorno, gli elefanti passavano il tempo a esplorare il territorio in cerca di cibo. Afferravano i rami degli alberi con le proboscidi lunghe e forti, e si divertivano a fare le bolle nelle pozze d’acqua fangose. Ma all’imbrunire, quando il sole scendeva all’orizzonte, gli elefanti si riunivano sotto gli alti rami di un albero baobab… e chiedevano a Themba di raccontar loro una favola.
“Nonna!” dicevano i più piccoli. “Vogliamo una favola. Raccontaci qualche favola, per favore.”
E Themba ci pensava a lungo, dondolando la proboscide da un lato all’altro mentre si spremeva le meningi in cerca di una favola. Ma era tutto inutile. Non aveva niente da raccontare. Ascoltava il vento. Forse la brezza che faceva stormire le foglie del baobab cercava di raccontarle una favola? No, niente da fare …niente favole … niente magici racconti.
Così un bel giorno Themba si rivolse alla sorella minore, Sipho, e le disse di andare in cerca di favole. Salutando con un cenno della proboscide, Sipho si apprestò ad attraversare quelle terre sconfinate. Durante il viaggio, chiedeva a chiunque incontrasse di raccontarle una favola.
“Io ho centinaia di favole da raccontarti”, si vantò Nogwaja la lepre. “No, non centinaia, migliaia, anzi milioni!”, aggiunse saltellando su e giù.
“Oh, ti prego” la implorò Sipho, “dammene un po’, e ce le racconteremo di sera sotto gli alberi.”
“Ehmmmmm….” disse Nogwaja, torcendo i baffi. “Al momento non ho tempo per le favole. Non vedi quanto ho da fare?
“Che sciocca”, pensò Sipho, triste. “E’ ovvio che mente. Non ne ha di favole.”
Con un sospiro, Sipho si rimise in cammino. Si fece buio, ma l’elefantessa continuò a camminare, tastando il terreno con la proboscide. “C’è qualcuno che conosca delle favole?”, gridò nell’oscurità.
“Uuu, uuu, uuu!”, rispose un gufo. “Chiedilo all’aquila pescatrice. Lei vola più in alto e vede più lontano di tutti gli altri uccelli. Saprà dirti dove puoi trovare delle favole.”
Così Sipho seguì il fiume fino al mare, in cerca della grande aquila pescatrice. Finalmente la vide, mentre sorvolava l’acqua con un pesce che le si dibatteva tra gli artigli.
“Nkwazi!”, gridò Sipho tutta contenta, correndo verso la riva.
La prese talmente di sorpresa che l’aquila lasciò cadere il pesce, SPLASH!
L’aquila planò fino a raggiungere Sipho. “Cosa c’è di così importante da farmi perdere la cena?”, le chiese.
“Grande e saggia Nkwazi”, disse Sipho. “Il mio branco è assetato di favole. Sai dove posso trovarne?”
“Io sono molto saggia”, concordò l’aquila pescatrice. “Ma conosco solo le cose che accadono sulla terra. C’è una creatura che conosce i segreti dell’oceano. Forse ti può aiutare. Aspetta qui, vado a chiamarla.”
Sipho attese a lungo accanto alle onde impetuose, fino a quando un bel giorno l’aquila finalmente ritornò. “Amica mia, la tartaruga marina ti porterà in fondo all’oceano, fino al posto in cui potrai trovare delle favole”, le disse. E in quel momento, la grande tartaruga marina emerse dalle acque.
“Afferrami la coda con la punta della proboscide”, disse la tartaruga con una voce cavernosa. “Ti guiderò fino alla terra del Popolo degli Spiriti.” E così Sipho afferrò la coda della tartaruga e insieme scesero negli abissi marini.
L’elefantessa guardava affascinata i pesci dalle squame scintillanti che le scivolavano attorno. Attraversò a nuoto foreste di alghe, giù, sempre più giù, fino alla dimora del Popolo degli Spiriti. La tartaruga marina la portò subito al trono del re e della regina, e al loro cospetto Sipho fece un profondo inchino. “Che cosa vuoi da noi, creatura della terraferma?”, le chiesero.
Sipho raccontò loro del branco, di come al tramonto si ritrovassero tutti assieme ma non avessero favole da raccontarsi.
“Certo”, dissero il re e la regina. “Noi abbiamo molte favole. Ma cosa ci puoi dare in cambio?”
“Che cosa desiderate?”, chiese Sipho. “Vogliamo scoprire qualcosa della vita sulla terra”, risposero. E così Sipho iniziò a raccontare la storia della sua vita. Descrisse la gioia di rotolarsi nel fango, il sole accecante e i versi degli animali nel silenzio della notte.
“La possiedi già, l’arte di raccontare favole”, dissero il re e la regina. “Con le tue parole hai fatto un incantesimo e hai portato fin qui da noi un’immagine della vita al sole. In cambio ti doniamo questa conchiglia. Ogni volta che vorrai una favola, avvicinala all’orecchio e te ne racconterà una.”
“Grazie”, disse Sipho con un altro inchino. Poi risalì, su su su, fino ad arrivare alla luce e al suo mondo all’asciutto.
Quando raggiunse la riva, ripercorse tutti i chilometri che la separavano dal branco, seguendone le tracce a fiuto. E quella sera, sotto le alte fronde del baobab, tutti le dissero: “Raccontaci una favola, Sipho! Racconta!”
Allora Sipho portò la conchiglia all’orecchio e cominciò: “C’era una volta…” E così nacquero le favole.

Published in: on 11 giugno 2012 at 11:17  Lascia un commento  

La leggenda della Guacamaya e i colori del mondo (leggenda Messicana)

C’era una volta un mondo tutto grigio e noioso, in cui gli dei litigavano sempre perché tutto era assai cupo e colorato con due soli colori: il nero ,che dominava la notte, e il bianco ,che tingeva il giorno, poi v’era il grigio che dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero troppo. Gli dei litigavano spesso, ma erano comunque molto sapienti e saggi: si riunirono per decidere come rendere il mondo più allegro, così da viere felici e in concordia.

Uno di loro cominciò a camminare per pensare meglio,ma, camminando sbatté contro una pietra ferendosi la testa.Il dio, dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo sangue e vide che era di un colore diverso così andò dagli altri Dei, mostrando loro il nuovo colore che chiamarono “rosso”.

A questo punto decisero di cercare altri colori, e di rendere con questi il mondo più bello e allegro.

Un altro dio si mise in cerca di un colore per dipingere la speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo e lo mostrò all’assemblea degli Dei che gli misero il nome “verde”.

Un altro cominciò a grattare forte a terra. “Che fai?” gli chiesero gli altri dei. “Cerco il cuore della terra” rispose. Dopo un po’ trovò il cuore della terra e lo mostrò agli altri dei. Nacque così il colore marrone.

Un altro dio salì in alto. “Vado a guardare il colore del mondo” disse, e si mise a scalare una montagna. Quando arrivò ben in alto, guardò in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come fare a portarlo agli altri dei. Allora rimase lì a guardare per un bel po’, finché il colore non gli si attaccò agli occhi. Discese e andò all’assemblea degli dei. “Porto nei miei occhi il colore del mondo: l’azzurro.

Un altro dio stava cercando colori quando sentì che un bambino ridere; si avvicinò con cautela e gli prese la risata che diventò il giallo.

A quel punto gli dei che erano ormai stanchi, andarono a dormire, lasciando i colori in uno scrigno sotto un albero.

La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono, cominciando a far chiasso e festa.

Quando tornarono gli Dei si accorsero che i colori non erano più sette, ma molti di più.

Presero la cassetta dei colori, salirono sulla cima del monte, e da lì cominciarono a lanciare i colori, così l’azzurro finì in parte nell’acqua e in parte nel cielo, il verde cadde sugli alberi e sulle piante, il marrone, che era il più pesante, cadde sulla terra, il giallo, che era un risata di bambino, volò fino a tingere il sole, il rosso giunse sulla bocca degli uomini.

Allora, gli dei, per non dimenticare né perdere i colori, cercarono un modo per conservarli. Mentre stavano pensando come fare videro passare un pappagallo guaca maya dalle lunghissime penne. Decisero così di affidare tutti i colori che avevano appena scoperto a questo animale, che da quel momento ebbe un piumaggio colorato come un arcobaleno e divenne non solo un volatile meraviglioso, ma il custode di tutti i colori del mondo.

Published in: on 26 aprile 2012 at 14:34  Lascia un commento  

Massimo Bontempelli

Raccontare un sogno come se fosse realtà e la realtà come se fosse un sogno

Published in: on 24 aprile 2012 at 18:28  Lascia un commento  

Forse un mattino andando in un’aria di vetro – Eugenio Montale

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

Published in: on 24 aprile 2012 at 17:01  Lascia un commento  

Randolph Bourne

Se non sei idealista a vent’anni, non hai cuore. Se lo sei ancora a trenta non hai testa.

Published in: on 21 aprile 2012 at 14:25  Lascia un commento  

Proverbio Masai, Kenya

La terra non ci è stata data dai nostri antenati, ma prestata dai nostri figli.

Published in: on 15 aprile 2012 at 14:19  Lascia un commento  

La peggior settimana della mia vita

“Il senso di colpa è inutile, sono secoli che rovina l’umanità. Se c’è una cosa che ho imparato, è che il senso di colpa non serve a niente.”

Published in: on 14 aprile 2012 at 20:33  Comments (8)  

Manzoni – I promessi sposi

Un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro.

Published in: on 14 aprile 2012 at 15:18  Lascia un commento  

Proverbio africano – Benin

La casa dell’amico non è mai lontana.

Published in: on 14 aprile 2012 at 11:46  Lascia un commento